Omelia IV Domenica di Pasqua - 2014



Occorre avere una grande passione per “conoscere” Gesù. E passione vuole dire dedizione incondizionata, desiderio profondo di conoscere «l’Altro», volontà e determinazione costante di resistere a tutte le tentazioni di abbandonarlo e di passare ad altri interessi, magari più gratificanti al momento. Gesù non è una persona qualsiasi, non è un estraneo che possiamo sostituire da un momento all’altro. È una presenza che scardina tutte le nostre certezze umane, perfino religiose, così come ha fatto con gli Ebrei del suo tempo. Un cristianesimo formato da battezzati che conoscono poco o male Gesù, ricordato in modo astratto, presentano un Gesù “muto” che non ha niente da dire al mondo d’ggi. È questa, personalmente e globalmente, una fede senza futuro.
Così, l’Evangelista Giovanni ci mette di fronte ad una situazione ben precisa. È una scena tesa e conflittuale. Gesù sta passeggiando con i suoi discepoli nel recinto del tempio. All’improvviso un gruppo di Giudei lo circonda, incalzandolo con aria minacciosa. Gesù non si lascia intimidire, e rimprovera apertamente la loro mancanza di fede:« Voi non credete perché non fate parte delle mie pecore». E quando ebbe finito di parlare – annota l’Evangelista - , i Giudei presero delle pietre per lapidarlo. In realtà, l’Evangelista Giovanni raccoglie alcuni ricordi delle parole di Gesù per presentarcelo in maniera bella e suggestiva. Gesù è “il pane della vita”, colui che se ne nutre non avrà più fame; è “la luce del mondo”, chi lo segue non cammina nelle tenebre; è “il buono e bel pastore”, chi ne ascolta la “voce”, troverà la vera vita.
Ma l’immagine che colpisce nel Vangelo di oggi è l’espressione “io sono la porta”. È un’immagine tratta dalla vita pastorale: il gregge è raccolto in un recinto, circondato da una staccionata o da un muricciolo, mentre un guardiano ne vigila l’accesso. Gesù incentra la sua attenzione su questa “porta” che permette di raggiungere le pecore. E vi sono due modi di entrare nel recinto delle “anime”: tutto dipende da quel che si vuol fare con il gregge. Se qualcuno si avvicina al recinto, non entra dalla “porta” , ma vi sale da un’altra parte, - pensiamo alla società consumistica e materialistica dei nostri giorni -, evidentemente non è il pastore. Non viene per accudire il proprio gregge. È un “estraneo”, venuto per rubare, distruggere e uccidere.
Il comportamento, invece, del vero pastore è molto diverso. Quando si avvicina al recinto, “entra dalla porta” e chiama le sue pecore per nome, ed esse ascoltano la sua voce. Le conduce fuori e, quando le ha riunite tutte, si mette alla loro testa e le precede fino al pascolo dove potranno nutrirsi. Le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Quale segreto di nasconde, dunque, in questa “porta”, capace di legittimare i veri pastori e smascherare gli estranei, ladri e briganti, che vogliono entrare nel recinto per seminare morte e distruzione? Ma i farisei non comprendono questo linguaggio metaforico di Gesù. E allora Gesù dà loro la chiave del racconto: « In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore». Quelli che entrano per la via aperta da Gesù, lo seguono vivendo radicalmente il suo Vangelo, questi sono i veri pastori. Quelli che entrano nel recinto, lasciando da parte Gesù, e ignorandone la vera causa, costoro sono pastori estranei. Faranno solo del male al popolo cristiano.
 
Gesù, ancora oggi, ci invita ad un discernimento: non dobbiamo confondere in nessun modo la voce di Gesù Cristo con una parola qualsiasi pronunciata nella Chiesa. Non dobbiamo dare per scontato che in ogni intervento dei vescovi, in ogni predicazione dei preti o dei parroci, in ogni scritto dei teologi o in una esposizione dei catechisti, stiamo ascoltando fedelmente la voce autentica di Gesù. Non è un invito all’anarchia, al nostro soggettivismo o al nostro bisogno di contestare l’autorità o la gerarchia. Ma è un invito più profondo, appunto a discernere, la vera voce di Gesù anche quando si parla di lui. C’è sempre, infatti, un rischio: cioè quello di riempire la Chiesa di scritti, discorsi, prediche e catechesi che tendono a sostituire la voce inconfondibile di Gesù con il nostro “chiasso” interiore. Lo ricordava molto spesso anche sant’Agostino:« Noi abbiamo un solo maestro. Siamo tutti condiscepoli sotto di lui. E noi non siamo i vostri maestri per il fatto che vi parliamo da un pulpito; il vero maestro parla dal di dentro».
Signore Gesù, aiutaci prima di tutto ad ascoltare la tua vera voce, quella che ci parla di Dio come Amico e Padre. Non una forza da temere, o l’energia che dirige il cosmo o qualcosa del genere. Sentire Dio come amico per cambiare la nostra vita. Aiutaci anche a rischiare la nostra fiducia in te. La vita non è sempre facile ed è spesso colma di lutti e di smentite. Non sempre riusciamo a trovare pace e riposo. Ma tu ci inviti ad aprirci a Dio con le bella espressione: « Non temere». Aiutaci, soprattutto, a entrare nella nostra anima più profonda e segreta, dove tu ci parli con il tuo linguaggio inconfondibile che ci avvicina a Dio. Nonostante dubbi o incertezze, noi scopriamo in te il volto di Dio che sostiene la vita anche nei momenti più avversi o dolorosi. Sì, il tuo Santo Spirito ci dà la forza di cominciare sempre di nuovo e alimenta in noi una speranza indistruttibile quando la vita sembra spegnersi nella tristezza o nel fallimento.
Noi ti conosciamo davvero, Signore Gesù, nella voce che ci chiama a trovare solo in te il nostro riposo e la nostra pace. Amen.     

 

 

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